Digital readiness: perché le competenze non bastano
Il concetto di Digital Readiness e le sue applicazioni pratiche nella selezione del personale e nell’analisi organizzativa.
Big data, social media, smart working, block chain, metaverse… Chi non vorrebbe avere affianco a sé una persona davvero capace di comprendere i nuovi paradigmi dell’era digitale e sfruttarli a vantaggio dell’organizzazione in cui opera? Come fare, però, a trovare la persona che fa per noi? Ha senso misurare le “competenze digitali” per capire quanto una persona sia adatta a ricoprire un ruolo in un’organizzazione?
Da un certo punto di vista, potremmo dire di no. Questo perché le competenze digitali, ovvero quanto le persone sono in grado di gestire dei processi impiegando determinati strumenti e tecnologie, dipendono molto dal contesto in cui ciascuno ha operato in precedenza e possono essere facilmente formate. Ciò non vuol dire che chiunque possa diventare capace, ma che chi non lo è perché non ha ancora avuto occasione di misurarsi con una nuova tecnologia potrebbe diventare più bravo di tanti altri che con questa già operano. Certo, se il nostro orizzonte è di breve termine e cerchiamo una persona che sia “pronta all’uso”, allora ci interesserà verificare la sua conoscenza di specifici strumenti, ma nella maggior parte dei casi non è di questo che abbiamo bisogno. È molto più importante, infatti, capire quale sia l’effettivo potenziale delle persone perché si appassionino e adottino non solo delle tecnologie, ma i nuovi approcci e i nuovi processi che spesso queste si portano dietro.
Come fare, allora, per capire il potenziale delle persone e predire la loro capacità di operare nei nuovi ecosistemi digitali?
La risposta è nell’analisi delle attitudini e degli interessi. Solo questi ci possono consentire di “indovinare” come reagirà una persona posta di fronte ad un nuovo problema o ad una nuova opportunità. La Digital Readiness, ovvero la facilità di adattamento ai nuovi paradigmi digitali, è quindi il vero elemento su cui puntare, il talento che dobbiamo ricercare nelle persone che non possiamo lasciarci scappare.
In passato questo concetto è stato applicato, per esempio nel Digital Readiness Index di CISCO, per misurare l’inclinazione all’adozione delle nuove tecnologie di una intera nazione. Oppure è stato applicato a specifiche categorie professionali (ICT Manager) per individuarne l’approccio agli investimenti e l’attitudine all’innovazione.
Oggi, grazie al modello DRAW – Digital Readiness Assessment Worths, è invece possibile rilevare in qualunque persona il livello di predisposizione all’impiego delle nuove tecnologie e all’adesione ai nuovi paradigmi da esse proposte. Il modello DRAW, infatti, consente di raccogliere i dati necessari all’elaborazione degli indici di readiness attraverso un questionario molto semplice, composto di affermazioni basate su esperienze proprie della vita di tutti i giorni.
Con l’elaborazione dei dati, inoltre, non solo si può determinare un indice complessivo, ma è possibile capire se una persona tende ad usare gli strumenti digitali per sviluppare le sue interazioni sociali o, piuttosto, per limitarle. Inoltre è possibile capire quanto è disponibile a sposare approcci “disruptive”, che portano innovazioni profonde nei processi di creazione del valore, piuttosto che impiegare i nuovi strumenti per supportare i processi esistenti.
Il test DRAW è disponibile fra gli assessment di Mundamundis
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